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lunedì 7 febbraio 2011

Il discorso del Re_Giorgio VI incorona Colin Firth

Di certo sono andata a vederlo convinta che fosse un bel film... il cast promettente e le 12 nominations agli Oscar 2011 bastavano per invogliarmi... Non ero però preparata al turbinio di emozioni che questo capolavoro mi ha suscitato! L'imbarazzo iniziale al momento del primo discorso in pubblico del protagonista mi ha fatto immedesimare nel vero senso della parola con il malcapitato. La simpatia istantanea per la bravissima Helena Bonham Carter che interpreta la moglie del futuro Re Giorgio VI e il sentimento di empatia e, allo stesso tempo, lieve antipatia per Bertie (nomignolo decisamente poco regale con il quale i familiari si rivolgono al protagonista). Il punto di rottura è l'incontro tra l'algida formalità di sua Altezza Reale il Duca di York Albert e la stravolgente e diffamante terapia d'urto dell'australiano logopedista Lionel Logue. Il film, che dalla trama può sembrare tutt'altro che accattivante, mi ha rapita e il merito è delle straordinarie interpretazioni di Helena Bonham Carter, Geoffrey Rush e dello strabiliante Colin Firth che balbetta magistralmente! Non ci sono parole per descrivere quanto sia stato credibile, quanto la sua bravura sarebbe stata sufficiente a fare di questo film un must. Non si tratta solo della tecnica vera e propria che Firth ha messo in pratica per calarsi nella parte di un uomo,(tra l'altro un personaggio "al quale si richiede di parlare in pubblico" in quanto principe reale e secondo nella linea di successione al trono d'Inghilterra!) affetto da balbuzie, ma della sua forza espressiva, mi spiego: balbettare è la cosa più semplice... rendere reale, tangibile, il disappunto di avere un tale difetto, la paura tremenda di mettersi in ridicolo in pubblico, il fastidio di dover sottostare a pratiche davvero poco regali per cercare di superare questa "disfunzione".. queste, penso, siano vere sfide per un attore. Un altro lato della personalità di Giorgio VI che mi ha affascinata è il suo senso di dovere verso il regno, sentimento che manca totalmente al fratello e primo erede al trono David che rinuncia al trono per una donna. Giorgio VI accetta un potere che non ha mai davvero desiderato e che lo porterà a dover guidare il suo paese nella sanguinosa Seconda Guerra Mondiale e Firth è riuscito a rendere esplicito questo aspetto della personalità e dell'interiorità del suo personaggio, senza cliché, senza buonismo, senza stereotipi.
Il momento più toccante è, neanche a dirlo, il discorso finale, la vera prova del nove per re Giorgio VI che si rivolge a tutti i suoi sudditi attraverso la radio (la cui potenza e la cui forza innovatrice sono rappresentate perfettamente) per annunciare l'entrata in guerra dell'Inghilterra contro la Germania nazista. Persone di ogni ceto e stato sociale, in ogni dove, uomini e donne, adulti e bambini, tutti riuniti attorno agli apparecchi radio ad ascoltare la voce del loro re, fiduciosi che saprà agire per il meglio, anche se questo "meglio" significa partecipare ad un conflitto. La potenza di quella comunicazione, di un discorso di 9 minuti, è tangibile e io l'ho avvertita come se fossi un suddito inglese degli anni'40.
Viene naturale il confronto con la situazione attuale in cui si è talmente inondati da messaggi e video messaggi di presidenti del consiglio, terroristi, escort e capi della chiesa che viene naturale cambiare automaticamente canale o addirittura spegnere tv e radio. La comunicazione è stata inflazionata e ha perso il suo valore. Allo stesso tempo siamo cambiati noi, assuefatti da input di ogni tipo e genere, recepiamo centinaia di migliaia di stimoli ma non ne elaboriamo neanche uno. Se dovessimo entrare in guerra oggi, forse, il presidente del consiglio invierebbe a tutti un messaggio su facebook e noi lo ignoreremmo come facciamo con la spam o con gli inviti a giocare a Farmville. Così stiamo giorno dopo giorno, preparando il sostrato della dittatura che ha per radici l'ignoranza e/o l'indifferenza dei più, che germoglia annaffiata dalla propaganda e dagli slogan e che io spero non finirà di sbocciare in questo Paese.
Il fatto che un capolavoro come Il discorso del Re (che ha ricevuto una standing ovation al Toronto International Film Festival, tra l'altro) uscito nelle sale il 28 Gennaio, fosse già in programmazione in una delle sale minori del multisala dove sono andata a vederlo e che in sala fossimo solo un paio di decine, non fa che dare forza alla mia disillusa lettura del presente.

lunedì 13 dicembre 2010

Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni (?)

Woody è sempre più disilluso...
Se non fosse per il suo inconfondibile stile e per alcuni momenti un po' più briosi, il film, dalla trama forse più scontata di altri (vedi Match Point), non sarebbe un capolavoro.
Le vicede delle due coppie di protagonisti, Alfie (un sempreverde Hopkins) e Helena e la loro figlia Sally sposata con Roy, ruotano intorno a un evidente senso di solitudine e insoddisfazione. Se c'è una cosa in cui Woody eccelle è la caratterizzazione dei personaggi, anche in questo caso eccellente, che è il fulcro vero e proprio del film.
Alfie non accetta il passare degli anni e la perdita del figlio maschio e cerca una nuova e falsa gioventù tra le braccia della prima squillo che gli capita a tiro e che, furbescamente, approfitta della situazione.
Helena, distrutta dalla separazione da Alfie è secondo me il personaggio più riuscito del film: spinta a cercare conforto tra le grinfie di un'indovina, che altro non è che una simpatica imbrogliona, riesce a trovare una nuova instabile voglia di vivere e di ricominciare confidando in un luminoso ma non ben definito futuro e affidandosi con molto stile ai più svariati liquori! Con tali prerogative l'unico dark tall stranger (tradotto in italiano con "uomo dei tuoi sogni") che riuscirà adaccalappiare sarà un rosso, basso ometto, appassionato di occulto, ossessionato dal ricordo della moglie morta con la quale si tiene costantemente in contatto.
Sally, una brava Naomi Watts, insoddisfatta dal suo rapporto con il marito Roy, e ancora economicamente dipendente dalla madre, ha effettivamente incotrato il suo sconosciuto uomo dei sogni! Altri non è che Greg (Antonio Banderas) il suo capo, in crisi con la moglie ma tuttaltro che interessato alla povera Sally. La scena in cui ho maggiormente riconosciuto Woody Allen vede protagonisti proprio Greg e Sally nel momento in cui quest'ultima decide, malauguratamente, di mettere in chiaro i suoi sentimenti, credendo di poter essere corrisposta.. la reazione di Greg è fenomenale! una vera e propria non-communication alla Beckett, ma voluta!
Roy è l'anche troppo comune scrittore depresso che dopo un libro riuscito non fa altro che collezionare insuccessi e che, per sentirsi meno amareggiato inizia a flirtare con ragazza della finestra di fronte, con la quale si fidanzerà dopo la separazione dalla moglie. All'apice del cliché si arroga il merito dell'opera prima di un amico che crede morto in seguito ad un incidente ma che si rivelerà solo in coma... Diciamo pure che Roy non mi ha emozionato, è solo il disperato che prova a ribaltare la sua sorte con un colpo di testa ma che, prima della fine, si immagina tornerà più disperato di prima.
Una curiosità: Woody deve essere un appassionato di opera, in particolare di Donizetti...in Match Point la colonna sonora gira attorno all'aria Una Furtiva Lacrima dall'Elisir d'Amore, in quest'ultimo film Greg e Sally si godono la Lucia di Lammermoor! Sarà un caso?
Insomma, per concludere: un buon film rispetto a quelli in programmazione sotto le feste natalizie, ma non certo il migliore tra gli ultimi di Woody Allen.

martedì 30 novembre 2010

"Grazie Mario"

Si è suicidato questa notte, gettandosi dalla finestra della sua stanza d'ospedale, il grande regista e sceneggiatore novantacinquenne Mario Monicelli.
recitano, pur utilizzando eufemismi diversi, i giornali di oggi. Si rende omaggio al personaggio celebre, all'eroe della cinepresa, al regista di indimenticabili film. E l'uomo? mi chiedo io. Oggi si sbatte in prima pagina la notizia con tutto lo stupore che essa ha portato con sé. Si parla senza il minimo ritegno di come è stato trovato il cadavere, di dove era, dell'ora presunta della morte, non c'è il minimo rispetto, e questo in generale.. Oramai si svelano particolari macabri di ogni vicenda di attualità, dagli omicidi ai suicidi. E' venuto meno il pudore, il garbo di tacere certi dettagli che non dovrebbero interessare a nessuno. Non dovrebbero, invece interessano eccome, regalano dati di ascolto mai visti, rendono celebri persone normali e tolgono anche la poca privacy rimasta ai volti noti. Che strano, io volevo solo scrivere due parole su Monicelli.. Adesso vado al sodo.
Non posso vantarmi di aver visto tutti i film girati o sceneggiati da Monicelli, anzi, sicuramente non arrivo a un decimo, ma opere come Amici Miei (1° e 2° atto), Speriamo che sia Femmina, Cari fottutissimi amici, il Marchese del Grillo, Un borghese piccolo piccolo sono entrate ormai a far parte del nostro DNA di italiani, hanno fatto storia.
Ho pensato un po' a cosa scrivere e mi sono convinta che avrebbe davvero poco senso iniziare un elenco dei suoi film, dei pregi della sua regia o un discorso astratto riguardo all'inestimabile eredità che Monicelli ci ha lasciato.
Lo ringrazio a modo mio.
Nella mia testa risuona una melodia nota "ma vaffanzum zum zum zum zum.. ma vaaaa", posso recitare a memoria interi dialoghi del film, è ormai comune citare il Mascetti prendendo in giro qualcuno con un'innocua supercazzola... come se fosse antani! Non mi sono mai spinta a prendere a schiaffi i viaggiatori dei treni in partenza, ma probabilmente solo perché oggi i regionai hanno l'aria condizionata e i finestrini bloccati! Il Perozzi che fa morire la fornaia, il Melandri che porta a spasso birillo e che perde la testa ogni volta che si innamora, il Necchi e il tradimento della Carmen con Verdirame Augusto di Brescia, lo stimato professor Sassaroli e le nipotine da parte di fava, e l'indimenticabile Conte Lello Mascetti, il più amaro personaggio del film. Tutti loro, magici attori come oggi se ne vedono pochi, insieme all'indimenticabile colonna sonora e allo scenario di fondo (una Firenze tratteggiata con grande maestria) fanno di questo film un capolavoro della commedia all'italiana.
Cosa dire di Sordi nel Marchese del Grillo? ho visto questo film da bambina e poi da più grande ridendo per le parti comiche e apprezzando poi l'ambientazione storica e la regia. La campagna toscana di Speriamo che sia Femmina mi è così familiare da sembrare solo uno spezzone di una storia conosciuta, con il mio dialetto e le nostre buffonate.
Il mio personalissimo e soggettivo ringraziamento a Monicelli è per aver lasciato una traccia indelebile di una Toscana che, purtroppo, è scomparsa o è destinata a scomparire: il ricordo di Firenze nel '66, la città vista dal Piazzale Michelangelo, la casa colonica in campagna e i detti toscani, personaggi così simili ai nostri nonni e ai nostri babbi, la vita che scorre con un ritmo quasi musicale tra piaceri e dispiaceri da affrontare con la simpatia e l'ottimismo che ci caratterizza... Grazie davvero Mario!

sabato 27 novembre 2010

Io sono l'amore_innamorata di Tilda Swinton

Seguo il consiglio di una cara amica e riprendo a scrivere sul mio blog... L'occasione è data dalla recente visione di un film memorabile: Io sono l'amore di Luca Guadagnino.
Ho deciso di guardarlo così, per caso, in una sera autunnale, e sono rimasta a bocca aperta. Racconto in due parole la trama, a rischio di renderla estremamente banale: è la storia di Emma (Tilda Swinton), di origini russe, entrata a far parte della ricca famiglia milanese dei Recchi sposando Tancredi. Il film inizia con una cena, in un'atmosfera rarefatta, farcita da convenevoli e formalità. Già dalle prime scene si avverte un clima particolare, teso e allo stesso tempo indecifrabile. Emma ha tre figli ed è particolarmente legata a Edoardo che si rivolge costantemente a lei in russo, come a condividere un linguaggio segreto, e alla figlia Betta (Emma Rohrwacher). La storia entra nel vivo quando appare alla porta un ragazzo, un cuoco divenuto amico di Edoardo dopo una sfida a tennis: è Antonio (Edoardo Gabbriellini) a turbare la gelida Emma. Edoardo e Antonio decidono di aprire un ristorante insieme in Liguria, al contempo si scopre l'omosessualità di Betta e questo segreto la legherà ancora più profondamente alla madre. Come si può intuire nasce una storia d'amore tra Emma e Antonio e la donna rifiorisce grazie all'amore del giovane cuoco. Il film gira attorno a questa storia d'amore, tratteggiata con un'intensità pazzesca dal regista, caratterizzata dalla segretezza e dalla clandestinità. E' vedendosi servito a tavola un piatto tipico della Russia cucinato dal giovane cuoco che Edoardo comprende definitivamente ciò che sta succedendo tra l'amico e la madre. Durante un litigio con quest'ultima Edoardo cade e muore; la tragedia sconvolge profondamente Emma che trova però la forza, sciolta dal legame con il figlio prediletto, di confidare al marito il suo amore per Antonio, il giorno stesso del funerale. Da quel momento è bandita da casa Recchi e le ultime scene del film, grazie anche ad una colonna sonora all'altezza del cast e della regia, rappresentano perfettamente le ultime parole dette da Tancredi a Emma "tu non esisti". Emma esiste eccome invece, lasciando la sua casa corre, quasi stesse scappando da tutto ciò che era stata fino ad allora, saluta solo con un lunghissimo sguardo la figlia Betta, l'unica che sembra avvertire fino in fondo quello che sta succedendo nella sua famiglia. L'unica via per uscire da quel dolore, da una vita fatta di formalità e di un benessere solo economico, è l'amore per Antonio, quel sentimento per il quale ha sacrificato tutto il resto.

Narrazione della storia a parte, è Tilda Swinton il centro focale del film... non fraintendiamoci: Gabbriellini, il regista Guadagnino, il direttore della fotografia e la colonna sonora sono splendidi, rendono questo film, dalla trama forse non troppo originale, un vero capolavoro.
Ma Tilda... Tilda che recita l'intero film in italiano e che si cala in una parte così particolare, è divina. L'avevo notata in altri film, come le Cronache di Narnia o Constantine, ma niente e paragonabile all'intensità della sua interpretazione in questo piccolo grande film.
Un'attrice che si misura con ruoli così diversi tra loro e cambia "pelle" con una tale facilità, senza mai risultare falsa o accademica, rende il cinema di questi tempi di nuovo un'arte.

lunedì 26 aprile 2010

Quando la storia si fa film

Il primo post, che emozione!
Non riesco a trattenermi dall'inaugurare questo blog con un commento positivo, direi quasi un panegirico, su un film che mi ha veramente emozionato, Agorà, di uno dei più grandi registi contemporanei, Alejandro Amenabar.
Venerdì scorso, il 23, il film è uscito in tutte le sale e indovinate quante persone c'erano a vederlo allo spettacolo delle 23.00 in un noto multisala di Montevarchi? 12 in tutto (me e il mio fidanzato compresi). Magari non è un film per grandi e piccini, probabilmente racconta una storia poco conosciuta, di certo è stato poco, o inadeguatamente, pubblicizzato.

La storia, secondo me, è a dir poco affascinante: la filosofa Ipazia, personaggio storicamente esistito, vissuta e morta ad Alessandria d'Egitto alla fine del IV secolo, impersonifica amore per la cultura e per la ragione e al contempo il dramma di essere donna nel periodo in cui visse. Tralasciando l'ammirazione per il personaggio, così ben recitato da Rachel Weisz, ho trovato particolarmente interessante la rappresentazione dell'incontro-scontro tra 3 diverse religioni nella città egiziana: i pagani, custodi gelosi di tradizioni e dei obsoleti ma anche depositari di un'enorme sapere, gli ebrei da tempo insediati in città dove peraltro fu redatta la celebre Settanta (la prima traduzione dell'Antico Testamento in greco), e i cristiani da poco liberi di professare liberamente la loro religione che da pochi decenni è divenuta addirittura religione di stato dell'Impero Romano ormai agli sgoccioli.
Forse Amenabar estremizza e "demonizza" i cristiani, accentuandone l'ignoranza e la violenza per fini cinematografici; rileggendo però la storia non è andato molto lontano dal vero. In fondo sin dalla loro apparizione i cristiani mancarono di una vera e propria "identità" e furono a lungo confusi con gli ebrei (facendo maturare una sempre più tangibile e reciproca antipatia tra due religioni per molti versi simili) e soprattutto vi fu una predicazione itinerante ad opera degli apostoli prima e dei missionari dopo che diede adito al formarsi di sette, "eresie", falsi profeti..

Ma tornando ad Agorà, quello che mi ha più toccato è stato il momento in cui i cristiani ormai in maggioranza irrompono con il beneplacito del prefetto all'interno della Biblioteca di Alessandria si danno non solo al saccheggio, ma alla vera e propria deliberata distruzione del sapere antico, pagano. Veder bruciare i libri, i rotoli per essere precisi, mi ha infastidito e mi ha irritata. La necessità della damnatio memoriae, il bisogno di distruggere il pensiero diverso dal proprio, la volontà di affidarsi solo al dogma delle Sacre Scritture sono evidenziate egregiamente in poche e silenziose scene di volgare delirio mistico.
Non ci dobbiamo stupire dei roghi dell'Inquisizione, non sono altro che ripetizioni di un modello, di un canone già stabilito. La censura, la disinformazione, o peggio, la falsa informazione, non sono che l'ennesima, banale riprova che la storia si ripete e che, purtroppo, la si studia troppo poco per evitare di commettere sempre gli stessi errori.
Comunque, mi rendo conto che sono partita dal film per sproloquiare poi senza freni... mi piace il blog, nessuno interrompe i miei noiosi monologhi... Ma tornando ad Amenabar, la regia è esemplare, non raggiunge i livelli di Apri gli occhi, ma è sicuramente di standard elevato; le musiche sono appropriate ma non eccelse e il cast è azzeccato.
Senza fare impropriamente pubblicità al film, che resisterà comunque soltanto altri 2 o 3 giorni prima di essere eliminato dalle programmazioni e conseguentemente rimosso dalla memoria comune, trovo che sia un capolavoro.

Sono certa che, senza bisogno di essere appassionati di storia o di religione, questo film può dare spunto a molte riflessioni legate anche al mondo in cui ci si trova a vivere.. Cioè: religioni che devono convivere, fenomeni di intolleranza e fanatismo, violenza in nome di non si sa quale crudele Dio... non è fantascienza purtroppo.
La storia è uno specchio che deforma le cose che riflette, ma basta avvicinarsi un po' di più e l'immagine è nitida, comprensibile per tutti. Il problema è che sempre meno persone si avvicinano a questo specchio e sempre più si accontentano di comportarsi come dice Ipazia riferendosi ai cristiani "voi non mettete mai in discussione le cose in cui credete" (magari non ho citato alla lettera, ma il senso è quello..): ovvero ci si affida a quello che ci viene raccontato dai mass media, si prende per buona la notizia senza approfondire e ci si accontenta perché pensare e riflettere è decisamente più faticoso che acquisire passivamente informazioni e, tutt'al più commentare. Come Ipazia, io metto costantemente in discussione le cose in cui credo, forse sono poco coerente o forse mi adeguo semplicemente ai cambiamenti e agli stimoli che mi circondano.

Penso che sarebbe splendido se uscisse un film di questo livello ogni settimana, ma non troverebbe comunque audience e quindi resterebbe appannaggio di un ristretto e abituale pubblico. Di conseguenza, un applauso ad Amenabar per il coraggio dimostrato nel rischiare una storia così di nicchia come quella di Ipazia e un invito a guardare almeno il trailer qui sotto!